Sara al tramonto

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Titolo: Sara al tramonto

Autore: Maurizio De Giovanni

Editore: Rizzoli

Maurizio De Giovanni è uno scrittore con una storia personale che mi piace tantissimo. E’ diventaro scrittore quasi per caso, partecipando ad un concorso per scrittori emergenti quanto era già un uomo maturo. Il buon esito del concorso gli ha dato la spinta per iniziare a scrivere romanzi che negli ultimi anni lo hanno consacrato come uno dei migliori scrittori di gialli italiani.

Il suo libro Sara al tramonto è un romanzo a metà tra il giallo e il noir, scritto con il consueto stile elegante, che ha come protagonista Sara Morozzi, una donna di 55 anni a cui la vita ha lasciato ferite molto profonde. Sara è stata una ottima poliziotta impiegata in un reparto speciale per le intercettazioni non autorizzate, ha scoperto di avere un talento speciale nel riuscire a interpretare i segnali del corpo umano, quale il movimento labiale delle persone riuscendo a capire anche a notevole distanza le parole pronunciate o riuscendo a stabilire dalla postura, i movimenti della testa o delle mani, se la persona stesse dicendo la verità o stesse mentendo. Sara è in pensione, suo figlio è morto in un incidente e il suo compagno è morto di malattia. E’ sola e il rendersi invisibile durante il giorno è la sua prerogativa. La notte la povera Sara fà i conti con la sua vita. i suoi incubi, le sue colpe, vere o presunte, il suo pentimento di aver dedicato la sua vita al lavoro ed all’amore per il suo compagno, trascurando suo figlio ed il marito.

Sara ha qualche sporadico incontro con una ragazza che è stata la fidanzata di suo figlio prima che morisse e che ora aspetta un bambino. Sara tenta di stabilire un certo rapporto con la ragazza in modo da essere vicino al nipote, per poter dare al futuro bambino parte di quell’amore che ha negato al proprio figlio. Con il procedere della storia i rapporti tra le due improbabili suocera e nuora prenderanno una direzione imprevedibile.

Sara viene contattata da una ex collega ancora in servizio attivo che deve aprire una inchiesta su un caso di omicidio già risolto ma con alcuni segnali da valutare con prudenza e basso profilo, un tipo di lavoro in cui Sara con le sue doti speciali, potrà dare un contributo determinante. Sara, anche se in pensione da qualche tempo, accetta il lavoro a patto che abbia carta bianca e quindi sia lei a comandare le indagini. Viene affiancata all’ispettore Davide Pardo, una brava persona, un tipo leggermente introverso e poco spigliato ma con indubbie capacità professionali. I due avranno l’incarico di il caso, in cui ad essere in grave pericolo di vita è una bambina ignara e indifesa. La storia ruota attorno alla figura di Sara, una donna forte, che affronta le indagini con coraggio e determinazione, senza alcun timore di capi e superiori di qualsiasi livello. Di notte il lato oscuro e perdente di Sara prende il sopravvento, con i suoi incubi, errori, rimorsi per le sofferenze che ha inflitto alle persone che le volevano bene, mentre era impegnata solo a lavorare ed amare il compagno per il qualche aveva lasciato figlio e marito. Il racconto procede alternando la storia dell’indagine con la storia dei sensi di colpa e dei rimorsi di Sara, con una alternanza di emozioni e sentimenti che rendono il libro originale e molto convincente.

 

La forza della natura

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Titolo: La forza della natura

Autore: Jane Harper

Editore: Bompiani

La forza della natura è il secondo libro di Jane Harper che vede tra i protagonisti l’agente federale Aaron Falk, già presente il primo libro dell’autrice, Chi è senza peccato e la sua collega Carmen Cooper.

La storia è ambientata in Australia nella zona montuosa detta Giralang Ranges, nelle vicinanze di Canberra. Una società finanziaria ha organizzato un trekking per gli impiegati, quelle iniziative che tanto piacciono ai responsabili delle risorse umane per fare gruppo, migliorare il gioco di squadra, rinsaldare i rapporti interpersonali. La zona impervia, le difficoltà ad orientarsi, la poca dimestichezza con le mappe, le attrezzature non proprio confortevoli, non mettono a loro agio i partecipanti fin dalla partenza. La vita a contatto con la natura accresce le difficoltà relazionali invece di migliorarle. Le squadre partecipanti sono due, una composta da soli uomini e l’altra composta da sole donne. Dopo qualche giorno al campo base torna la squadra delle ragazze ma sono quattro invece di cinque, manca Alice Russel, la persona più brillante e intraprendente del gruppo. Le quattro superstiti non sanno dare una spiegazione sul motivo della scomparsa. Partono subito le ricerche ma data la zona impervia e piena di pericoli da subito si teme per la sua vita. Alice, oltre ad essere una persona dalla forte indole e dalle indubbie doti professionali, è un testimone chiave in una inchiesta su reati finanziari e riciclaggio di denaro sporco che investe proprio la società per cui lavora, pertanto le indagini cercano di scoprire eventuali collegamenti tra la scomparsa e la particolare posizione di Alice.

La trama racconta storie personali, rapporti tra sorelle, relazioni tra persone che lavorano nella stessa azienda con ambizioni, storie e desideri diversi, con rancori e risentimenti sopiti dalla routine lavorativa quotidiana che invece emergono in tutta la loro carica violenta durante la convivenza forzata dovuta alla partecipazione al trekking. Ci sono anche problemi tra due adolescenti per alcune foto pubblicate sui social. A complicare le relazioni tra i protagonisti, le difficoltà relazionali di giovani figli con i loro genitori. A rendere la storia ancora più contorta c’è la presenza, nella zona in cui è scomparsa Alice, di un serial killer di nome Martin Kovac, che si teme possa aver ucciso la donna. La trama del thriller rende tutti i protagonisti possibili colpevoli o collaboratori dei colpevoli. La verità si coprirà solo alla fine del libro senza che nessun indizio possa indirizzare il lettore verso la soluzione. Un buon thriller, scritto in modo brillante. La storia ha qualche similitudine con Picnic ad Hanging Rock, scritto nel 1967 da Joan Lindsay, per via dell’ambientazione in Australia, della scomparsa di due ragazze in una zona impervia, il richiamo alla forza ed ai misteri della natura.

Sola sull’oceano

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Titolo: Sola sull’oceano

Autore: Mary Higgins Clark

Editore: Sperling & Kupfer

Sola sull’oceano è un thriller di Mary Higgins Clark ambientato nell’arco di sei giorni su una nave da crociera riservata a ricchi e facoltosi clienti. Tra gli ospiti della speciale crociera di inaugurazione della nave, c’è Lady Emily Haywood, ricchissima amante dei gioielli più escusivi, che ha dicharato di voler indossare durante la crociera il più prezioso pezzo della sua collezione, ossia una collana di smeraldi dal valore inestimabile, addirittura appartenuta a Cleopatra. Su tale gioiello pesa una maledizione, ossia chi la porterà in un viaggio per mare non vivrà abbastanza da poter tornare vivo a riva. Lady Emily non crede al maleficio e confermerà più volte la sua volontà di indossare il gioiello durante la crociera. La collana attira le attenzioni di un noto ladro di fama internazionale, che riesce a superare le imponenti misure di sicurezza imbarcandosi sulla nave per rubare il gioiello.

Lady Emily viene trovata morta nella sua cabina dopo tre giorni di navigazione e non si hanno più tracce della collana.

A bordo della nave ci sono due personaggi che sono già stati protagonisti di altri libri di mary Higgins Clark, Alvirach e Will Meehan, due simpatici investigatori dilettanti che si trovano a bordo della nave per festeggiare il loro quarantesimo anniversario di matrimonio e fanno parte del prestigioso elenco dei partecipanti in quanto vincitori di svariati milioni di dollari in una lotteria.

Il libro è un thriller ben scritto, con uno stile chiaro e scorrevole, con personaggi ben caratterizzati ed una trama lineare e con un ritmo continuo ben scandito dal susseguirsi dei capitoli.

La trama racconta le avventure e vicissitudini personali e finaziarie di una serie di personaggi che si trovano a bordo della nave, quasi tutti coinvolti in storie che hanno a che fare con l’avidità umana e con i tentativi di arricchirsi velocemente, senza fatica ma inevitabilmente infrangendo la legge. Una indagine difficile, una complessa rete di indizi e di sospetti che troverà la soluzione solo alle ultimissime pagine. Un libro piacevole che garantisce qualche ora di relax.

Eseguendo la Sentenza e Un atomo di verità

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Titolo: Eseguendo la sentenza

Autore: Giovanni Bianconi

Editore: Corriere della Sera

 

Titolo: Un atomo di verità

Autore: Marco Damilano

Editore: Feltrinelli

 

Due libri sul caso Moro. Un rapimento iniziato con una strage (i cinque uomini della scorta) e concluso con l’omicidio dell’uomo politico più importante dell’Italia dell’epoca.

Un evento tanto crudele quanto misterioso che dopo 40 anni rimane avvolto dalla nebbia delle bugie, dei depistaggi, delle false ricostruzioni, delle strane presenze sul luogo del rapimento.

Due libri abbastanza diversi tra loro, il primo è una cronaca dei 55 giorni del rapimento, iniziato il 16 marzo 1978 e concluso il 9 maggio 1978, il secondo è più un racconto di sentimenti e di emozioni legate ai personaggi e luoghi coinvolti nella storia. I due libri citati in questo post non fanno nuova luce sui misteri legati a quanto accaduto nel 1978, ma tengono accesa l’attenzione dell’opinione pubblica su un evento che ha troppe ombre e zone oscure su cui dovrà essere fatta chiarezza. 40 anni sono troppi per non essere riusciti a fare piena luce sul rapimento Moro.

Tanto per mantenere viva la memoria su altri omicidi dell’epoca, un triste elenco:

Oltre ad Aldo Moro, il 9 maggio 1978 fu ucciso Peppino Impastato, giornalista antimafia.

Il 20 marzo 1979 fu ucciso il giornalista Mino Pecorelli.

Il 21 luglio 1979 fu ucciso Boris Giuliano, Capo della Mobile di Palermo

Il 25 settembre 1979 fu ucciso il giudice Cesare Terranova.

Non dobbiamo dimenticare. Dobbiamo continuare a pretendere che la verità venga alla luce.

A Genova non è crollato solo il ponte

Quando ho letto le prime notizie sul crollo del ponte Morandi lo scorso 14 agosto, la prima reazione è stata di incredulità, poi con il passare dei minuti, quando la tragedia si è manifestata in tutta la sua disastrosa portata, lo sgomento ha preso il sopravvento. Non è crollato solo il ponte di Genova. Si è sgretolata l’Italia. Un disastro così grande, indipendentemente dalle cause tecniche che lo hanno provocato, dimostra che l’Italia è un paese che non funziona, marcio nella sua stuttura portante, proprio come il ponte.

Non c’è solo un ponte da ricostruire. C’è da costruire uno stato che funzioni veramente e non solo nelle dichiarazioni propagandistiche dei politici, che sia in grado di proteggere i suoi cittadini e tutelarli, di garantire diritti e pretendere che tutti facciano il proprio dovere. Uno stato capace di spendere le proprie risorse in modo oculato e non sprecarle in modo becero. La legge permette di dare in concessione i beni dello stato ? Se il risultato è quello di Genova si revochino tutte le concessioni, si cambino subito le leggi che le regolano. La Concessionaria che aveva in gestione il ponte ha rispettato tutte le regole ? Allora le regole sono sbagliate e devono essere riscritte. Ci sono 43 morti che giustificano ampiamente qualsiasi intervento legislativo. Abbiano dovuto dare in concessione la rete autostradale per ridurre il debito pubblico per entrare nell’euro ? Allora le regole europee sono sbagliate e bisogna combattere per cambiare ciò che di sbagliato è stato fatto.

Non è possibile che lo Stato italiano non abbia le risorse economiche e le strutture organizzative e di controllo per evitare quello che è successo a Genova. Le grandi infrastrutture devono essere gestite e manutenute con l’unico scopo di garantire gli interessi del popolo italiano e non per fare arricchire gruppi privati. Non si possono dare in concessione attività importanti e remunerative come la gestione delle rete autostradale italiana, costruita con i soldi di tutti gli italiani, per fare arricchire aziende private vicine ai politici del momento. Le responsabilità non sono solo della Concessionaria ma anche delle forze politiche che hanno permesso questa scelta scellerata. Tutte le attività di importanza nazionale devono essere controllate dallo stato che deve intervenire per garantire sicurezza e continuità di esercizio. Serve una politica più responsabile e lungimirante, che governi in base a stategie e programmi a lungo termine e non in base ai sondaggi. Servono banche, dirigenti pubblici, politici, imprese e imprenditori che abbiano a cuore il futuro dell’Italia. Servono enti di controllo efficaci dotati di tutti i mezzi necessari per fare bene il loro lavoro, leggi funzionali di facile e certa applicazione. Serve una giustizia veloce ed efficiente. Servono elettori più attenti alle competenze dei candidati alle elezioni politiche che alle ideologie, meno populismi e maggiore visione strategica del futuro. Serve una stampa meno prona verso la politica ma più critica e vigile. Serve una istruzione migliore, investire sulla formazione degli insegnanti, riqualificare le università, aumentare il livello medio di istruzione della popolazione. Non servono scorciatoie o sotterfugi, serve formare persone migliori, diffondere il concetto di responsabilità personale. Serve un progetto per definire l’Italia del futuro. Serve una concezione diversa di come amministrare il bene pubblico, materiale, finanziario ed intellettuale. Non serve cercare soluzioni di comodo o incolpare qualche avversario per mettersi a posto la coscienza. Serve uno sforzo enorme di tutti gli italiani per trasformare il paese in qualcosa di diverso da quello che è adesso.

La scomparsa di Stephanie Mailer

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Titolo: La scomparsa di Stephanie Mailer

Autore: Joel Dicker

Editore: La nave di Teseo

Il libro si presenta come un mattone di elevato spessore che incute una certa soggezione. 704 pagine non sono facili da affrontare. Sono in vacanza e le ore giornaliere da dedicare alla lettura possono essere tutte quelle che servono per terminare velocemente La scomparsa di Stephanie Mailer, un thriller ben scritto da Joel Dicker. La grafica della copertina è accattivante, il richiamo ai precedenti romanzi dell’autore, La verità sul caso Harry Quebert e Il libro dei Baltimore sono un ottimo ulteriore motivo per acquistare il volume.

La vicenda si svolge su due piani temporali e racconta tante vicende parallele di personaggi con professioni, estrazioni sociali, età e provenienza le più disparate, che in qualche modo sono legati a Orphea, una cittadina inventata dello stato di New York, nella prestigiosa zona degli Hamptons, all’estremità orientale di Long Island, dove hanno la casa delle vacanze molti abitanti benestanti di New York.

Il 30 luglio 1994 Orphea è pronta ad inaugurare la prima edizione del festival teatrale ma un fatto criminale scolvolge tutti i programmi della giornata. Il sindaco della cittadina viene ucciso insieme alla moglie ed il figlio mentre si trovavano a casa. Di fronte alla casa del sindaco viene trovato anche il cadavere di una donna che era impegnata in una seduta di jogging. Il caso di quadruplo omicidio fu risolto da due agenti del comando della polizia locale, Jesse Rosemberg e Derek Scott.

Il 23 giugno 2014 Jesse Rosemberg, ormai prossimo alla pensione, viene avvicinato dalla giornalista Stephanie Mailer che gli dice che il caso del 1994 non è stato in realtà risolto, che il colpevole individuato a suo tempo non è il vero responsabile del plurimo omicidio. La donna subito dopo aver incontrato il poliziotto sparisce. Viene denunciata la sua scomparsa e iniziano le indagini alla scoperta di che fine ha fatto la donna. Nello stesso tempo ripartono anche le indagini sui fatti del 1994 che vedono sempre Jesse e Derek impegnati a scoprire cosa c’era di sbagliato nel loro lavoro di vent’anni prima. Da qui inizia una storia fatta di intrecci con il passato, nuovi crimini, eventi, coincidenze, nuove piste e nuovi indizi, conclusioni errate, storie d’amore, storie di infedeltà, violenze domestiche, disagi giovanili, di tutto di più.

Tutte le storie parallele risultano avvincenti e congruenti con la trama, nulla è superfluo, nonostante la complessità e la lunghezza del libro. Il lettore con il passare delle pagine si trova quasi ammaliato dalla storia e non riesce ad interrompere la lettura, trovando sempre nuovi motivi di interesse per continuare pagina dopo pagina fino alla fine.

Joel Dicker è molto bravo a scrivere libri con trame complesse, con tanti personaggi, centellinando indizi e particolari della storia con grande abilità e tempismo, riuscendo a tenere sempre altissima la tensione del racconto, senza mai dilungarsi ma cambiando continuamente scena, personaggi, piano temporale. Nel finale lo scrittore si è anche divertito a rendere possibili eventi che sono il contrario di quello che si sarebbe aspettato, quasi a dimostrare che la realtà non è quello che dovrebbe essere.

La scomparsa di Josef Mengele

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Titolo: La scomparsa di Josef Mengele

Autore: Olivier Guez

Editore: Neri Pozza

Olivier Guez ha scritto la storia della fuga in Sudamerica di Josef Mengele, l’angelo della morte, il medico scienziato responsabile della morte di migliaia di ebrei, di orribili violenze e terribili crimini contro l’umanità. Si considerava un benefattore, un grande studioso, la cui opera sarebbe stata prima o poi riconosciuta. Era ossessionato dai gemelli che torturava ed uccideva per scoprirne i segreti genetici ed anatomici. Voleva preservare la razza ariana, produrre superuomini. Fu solo un carnefice che non produsse nulla di scientificamente utile.

La sua macabra attività si svolse soprattutto nel campo di concentramento di Auschwitz, dove a partire dal 1943 Mengele aveva il suo laboratorio degli orrori. Riusci ad evitare il processo di Norimberga alla fine della guerra e nel 1949 fuggì in sudamerica partendo dal porto di Genova per raggiungere l’Argentina. In una vita fatta di false identità, fughe e menzogne, visse fino al 1979, quando morì per un attacco cardiaco. Il libro racconta gli ultimi 30 anni della vita di Mengele, la rete di protezioni di cui ha usufruito, le persone che lo hanno aiutato, i rapporti con la sua famiglia. I nazisti in fuga di soldi ne avevano tanti e li utilizzavano per corrompere e per facilitare le attività di protezione. Il libro descrive Mengele come un uomo mai pentito del suo operato, che fino all’ultimo ha creduto nell’ideologia nazista e difeso tutte le azioni criminali fatte dal regine. La caccia ai nazisti nascosti in sudamerica fu portata avanti soprattutto dal Mossad, i servizi segreti israeliani, che molto si adoperarono per catturare Mengele, senza mai riuscirci.

Il libro è una grande opportunità per conoscere più approfonditamente i crimini compiuti da Mengele e per capire cosa può provocare una ideologia aberrante come il nazismo in menti di uomini che si lasciano convincere fino al punto di perdere ogni parvenza di umanità e divenire più realisti del re. In questi anni la memoria delle cose terribili accadute prima e durante la seconda guerra mondiale si sta attenuando mentre sempre più spesso hanno voce in capitolo organizzazioni di vario tipo che guardano con simpatia a regimi che hanno rappresentato i momenti più oscuri della storia dell’umanità. Sono molte le persone che avrebbero bisogno di un ripasso di quanto accaduto in quel periodo così come tutti gli studenti dovrebbero spendere qualche ora in più a studiare i danni enormi che sono stati prodotti dalle ideologie totalitarie.

A bocce ferme

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Titolo: A bocce ferme

Autore: Marco Malvaldi

Editore: Sellerio

“A bocce ferme” è l’ultima opera di Marco Malvaldi, un romanzo giallo ambientato nella inesistente cittadina di Pineta con protagonisti il “gruppo” del Bar Lume, ossia Massimo Viviani titolare del bar, Tiziana contitolare e collaboratrice di Massimo, Marchino banconista, i quattro pensionati Aldo, Ampelio, Pilade e il Rimediotti, oltre ad Alice Martelli, vicequestore di Pineta e fidanzata di Massimo.

I 4 “nonni” spendono la maggior parte della giornata al bar per la disperazione affettuosa di Massimo che se li ritrova sempre tra i piedi e li invita di continuo a cambiare abitudini ma che in realtà non potrebbe fare a meno di loro.

La struttura del libro è quella ben collaudata dall’autore nei precedenti volumi. Succede qualcosa a Pineta, si apre una indagine ufficiale nella questura del luogo e parte contemporaneamente una indagine parallela nella questura non ufficiale, ossia nel Bar Lume, dove Massimo pilota i 4 nonni in modo da sfruttare le sue doti di risolutore di casi giudiziari avvalendosi dell’esperienza e delle conoscenze dei 4 simpatici vecchietti.

Questa volta il caso da risolvere è un vecchio omicidio del 1968 rimasto all’epoca senza colpevole. Le indagini su tale caso devono essere riaperte per via di una questione legata ad una eredità. Tutto inizia con la morte per malattia di Alberto Corradi, proprietario di una importante azienda farmaceutica toscana. La volontà del Corradi è di lasciare tutto al figlio Matteo, ma nel testamento in mano al notaio di Pineta, c’è anche scritto che Alberto Corradi si dichiara responsabile dell’omicidio del fondatore della fabbrica farmaceutica, Camillo Luraschi, padre putativo di Alberto Corradi. L’inchiesta di omicidio viene riaperta dato che Matteo Corradi non potrebbe ereditare ciò che il padre avrebbe ereditato grazie ad un delitto. L’indagine è affidata al vicequestore Alice Martelli e di conseguenza tutto il Bar Lume è coincolto nel caso.

Il libro racconta alcuni episodi che caratterizzarono il 1968 in Toscana, periodo in cui i 4 nonni erano nel pieno delle forze e risulteranno anche protagonisti di alcuni dei fatti principali avvenuti all’epoca. Un riferimento ad un periodo storico importante per l’Italia moderna, che arricchisce il volume di ulteriori spunti interessanti.

Il punto di forza dei libri del Bar Lume non è mai il caso da risolvere. Il vero scopo del romanzo è quello di dare spazio e voce ai protagonisti ed in particolare ai 4 nonni, che rappresentano il pensiero comune, il buon senso delle persone meno istruite ma con esperienza e sale in zucca, che risultano veri e propri maestri di vita. Tra battute, scherzi, prese in giro, tra una risata e l’altra, si racconta l’Italia di provincia, con i suoi pregi e difetti, con le sue storie non sempre edificanti. Nei libri di Malvaldi, le soluzioni dei casi non sono mai banali, sono sempre frutto di intuizioni geniali, in genere di Massimo, vero e proprio investigatore mancato. L’umorismo regna sovrano, con battute a volte ciniche a volte cattive, ma sempre con un elevato grado di comicità. I libri di Malvaldi divertono e nello stesso tempo fanno pensare, con uno stile originale che rende la lettura sempre piacevole ed a tratti esilarante. E’ questo il il motivo principale del grande successo editoriale che hanno i suoi libri.

“A bocce ferme” non deluderà i lettori affezionati. Per coloro che non conoscono la serie, consiglierei di cominciare dai primi libri e leggerli in ordine cronologico.

Berta Isla

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Titolo: Berta Isla

Autore: Javier Marias

Editore: Einaudi

Il libro si presenta come una spystory ma in realtà è la storia di un amore e di un matrimonio contrastato non dai sentimenti dei due protagonisti ma dalla vicende delle loro vite.

I protagonisti del romanzo sono Berta Isla e Tomas Nevinson, due studenti spagnoli che visono a Madrid.

I due si fidanzano da ragazzi, vivono da separati gli anni universitari, dato che lei studia a Madrid mentre lui studia ad Oxford. Al termine degli studi universitari, i due decidono di sposarsi, come è normale che sia per due giovani innamorati che si conoscono da sempre. Berta Isla è convinta di sapere tutto di suo marito mentre lui nasconde moltissimo della sua vita alla moglie, che non è messa al corrente del fatto che Tomas è stato ingaggiato dai servizi segreti inglesi, che è un agente sotto copertura e che opera in missioni segrete di cui lui non può divulgare alcun particolare a nessuno, nemmeno a sua moglie. Il matrimonio va avanti con le continue e prolungate assenze di lui, mentre Berta si ritrova a portare avanti il peso della famiglia e dei due figli, in completa solitudine, senza mai sapere la durata delle assenze del marito, nè poter comunicare con lui perchè per motivi di sicurezza non è possibile alcun tipo di contatto. La storia tra i due prosegue tra continue incomprensioni, i tentativi di Berta di conoscere le attività del marito che invece tiene fede agli obblighi sui è soggetto senza mai dire nulla alla moglie di quello che fà durante le sue missioni. Poi la trama prende una via drammatica con un finale che forse è la parte migliore del libro.

Berta è un donna coraggiosa, che vuole convincere il marito che la sua posizione non è corretta, che il suo comportamento non è giusto, che una moglie ha il diritto di sapere tutto del marito. Mentre lui, a dispetto del suo lavoro che implica coraggio, è un uomo debole, che non sà decidere, che si è ritrovato a fare l’agente segreto per una scelta che gli è stata imposta da altri e che lui non ha avuto il coraggio di rifiutare per evitare guai derivanti dal suo comportamento da uomo superficiale e poco attento. Guai che si riveleranno inesistenti, come verrà a sapere troppo tardi, quando ormai la sua vita era stata irrimediabilmente compromessa.

Due personalità opposte, due vite diverse, unite da un matrimonio sbagliato che durerà al di là delle aspettative solo grazie alla fermezza della donna, pronta ad accettare un marito di cui è innamorata ma di cui non conosce nulla della sua vita al di fuori del matrimonio, delle sue molteplici personalità, delle sue azioni misteriose.

Berta Isla è un libro sul coraggio delle donne, pronte a combattere per difendere i propri figli, per difendere le loro scelte, per rivendicare il diritto di conoscere cosa sta accadendo al proprio marito, anche contro i regolamenti, le leggi ed i comportamenti omertosi del mondo in cui agiva Tomas.

Sullo sfondo del racconto i servizi segreti, il loro modo di arruolare gli agenti, il loro funzionamento e le loro regole, per creare quasi un diversivo rispetto alla vera natura del libro.

Inviata speciale

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Titolo: Inviata Speciale

Autore: Jean Echeloz

Editore: Adelphi

Inviata speciale è un libro non facile da definire. Potrebbe essere una via di mezzo tra un noir e una spystory ma in fondo è anche un libro brillante e sarcastico con qualche risvolto comico. Di sicuro non piacerà a tutti data la particolare scrittura ma prima di lasciarsi convincere dalla recensioni negative, meglio giudicare dopo averlo letto.

Il libro ha come protagonista Constance, moglie di Lou Tausk musicista che ha smarrito la vena creativa, il suo misterioso rapimento e il suo ingaggio come spia da inviare in Corea del Nord per destabilizzare il regime locale. In passato Constance era stata l’interprete dell’unico vero successo di Tausk, la canzone Excessif, una hit mondiale che aveva venduto milioni di copie in tutto il mondo, compresa la Corea del Nord. Ed è proprio per questa fama internazionale che Constance viene scelta come spia da infiltrare nel regime NordCoreano.

La trama del romanzo è importante fino ad un certo punto. Il lettore troverà interesse nella capacità dell’autore di descrivere le avventure dei personaggi con ironia, disincanto, senza nessuna partecipazione emotiva, con un distacco che consente anche al lettore di vedere le cose da una certa distanza, senza mai entrare nella mente dei personaggi, si rimane solo osservatori esterni.

Non si prova empatia per i protagonisti del romanzo che per ragioni diverse sono tutti dei perdenti, con vite scombinate, coinvolti in avventure bizzarre, difficilmente dal lieto fine. Il bello del libro è questa narrazione quasi surreale di continue situazioni paradossali con personaggi improbabili, in cui l’autore si diletta in pagine di ottima scrittura nella descrizione di oggetti o di luoghi, restando del tutto distante da sentimenti ed emozioni.

La lettura delle 248 pagine scorre velocemente ed è destinata a chi si adatta facilmente a romanzi fuori dagli schemi tradizionali dei romanzi di genere.

 

Dove c’è fumo

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Titolo: Dove c’è fumo

Autore: Simon Beckett

Editore: Bompiani

Il romanzo “Dove c’è fumo” è stato scritto nel 1997 e recentemente riscritto dall’autore. Probabilmente la riscrittura è stata decisa per sfruttare le possibilità che internet ed i social media danno agli autori di arricchire le trame con le diavolerie rese possibili dalle nuove tecnologie.

Protagonista della storia è Kate Powell, titolare di una agenzia di comunicazione, età intorno ai trenta, sta vivendo un buon momento professionale. E’ la sua vita privata che non è proprio felicissima. Ha da poco interrotto una relazione e non vuole iniziarne una nuova. Ha un forte desiderio di maternità, ma non vuole avere un marito o compagno in casa, al punto che decide di ricorrere all’inseminazione artificiale. Questa decisione la porterà a conoscere lo psicologo Alex Turner. Si ritroverà coinvolta in un vero e proprio incubo che metterà a rischio la sua vita professionale e privata, oltre quella dei suoi amici più cari.

Il libro nella prima parte viaggia tranquillo raccontando la vita della protagonista e dei suoi amici, i suoi successi professionali e il suo desiderio di di maternità. Ha poco del thriller questa prima parte ma comunque è raccontata in modo coerente con il seguito del romanzo e serve per caratterizzare al meglio i personaggi. La seconda parte invece è una vera e propria giostra vorticosa di eventi che si susseguono in un crescendo continuo di situazioni imprevedibili che coivolgono Kate e tutti coloro che in qualche modo sono a lei legati.

Un libro che entra nei modi di funzionare della mente umana. Quella di Kate, donna forte e determinata nel lavoro, fragile e insicura nella sua vita privata. Quella di Alex Turner, che si rivelerà inizialmente gentile e normale, per poi mostrare il suo lato peggiore al di là di ogni limite immaginabile.

“Dove c’è fumo” è un libro piacevole e accattivante, con una trama originale e ben gongegnata, un libro che parte analizzando i perchè di una scelta consapevole come la fecondazione assistita e finisce come un thriller mozzafiato. Una lettura non proprio impegnativa che ben si adatta al periodo di vacanze.

Cosa vorresti fare da grande?

“Cosa vorresti fare da grande ?”

“Voglio fare l’ingegnere, quello che progetta le automobili”.

Avevo 5 anni, era il primo di ottobre del 1962, primo giorno di scuola elementare. Il preside in visita alla classe dei remigini mi fece la fatidica domanda ed io risposi senza la minima esitazione. Avevo già deciso il mio futuro.

I primi segnali pericolosi della insana passione per tutto ciò che avesse un motore a scoppio si erano manifestati intorno ai due anni.

Camminavo appena e un pomeriggio per strada mi allontanai da mia madre per avvicinarmi ad una motocicletta parcheggiata sul marciapiede. La toccai e lei mi cadde addosso, come una innamorata che cade ai piedi del suo principe azzurro. Io non mi feci nulla, la moto non so, mia madre a momenti ci lasciava le penne per lo spavento.

Avevo pochi anni ed andavo spesso a giocare in un piccolo parco, attraversato dai binari di una linea ferroviaria locale. Attendevo con trepidazione il passaggio della mitica “littorina”, uno dei pochi treni locali che passavano su quella linea ferroviaria che sarebbe stata dismessa pochi anni dopo. Quel miraggio tecnologico di colore marrone, che sfrecciava a pochi metri da me, era una visione estasiante, come fosse la cometa per i re magi o l’aurora boreale per i pochi abitanti dell’antartide.

A nove anni, comprai il mio primo numero della rivista “Motociclismo”, affascinato dalla prima vittoria nel mondiale della classe 500 di Giacomo Agostini. Quel caschetto tricolore, gli occhialoni, la tuta rigorosamente nera, erano per me come l’ armatura indossata da un eroico cavaliere medioevale, a bordo di quella moto dal nome nobile che solo a dirlo incuteva rispetto, MV Agusta. All’epoca non c’era la televisione che trasmetteva le gare, almeno non ne ho memoria. Vedevo le foto sui giornali e sognavo di diventare un giorno anch’io un pilota, un funambolo della moto. Ma consapevole dei miei limiti e del destino non proprio favorevole, mi ero preparato per tempo un piano di riserva. Qualora non avessi avuto le doti per diventare un pilota vincente, sarei diventato un progettista di moto, quindi un ingegnere. La convinzione sul mio destino era sempre più granitica. Rispetto alle prime affermazioni riguardo la mia scelta professionale, in quegli anni si fece forte, anzi fortissimo il convincimento di diventare ingenere meccanico. La specializzazione era importante. Avevo scoperto che gli ingegneri progettavano anche le case o i ponti, le ferrovie e gli impianti elettrici. Ma queste cose mi apparivano come banalità di cui non valesse neanche la pena di parlare. Per me esistevano solo i motori a scoppio, le moto e le auto. Ma non trascuravo neanche i camion ed i trattori.

Il passaggio sotto casa del camion della nettezza urbana scatenava un entusiamo simile alla littorina dei miei giochi all’aperto. Quando sentivo da lontano il rumore inconfondibile del camion che si avvicinava , correvo alla finestra e guardavo estasiato quel prodigio della tecnologia, grande, potente ed anche puzzolente. Osservavo con invidia gli spazzini che, in equilibrio precario sulle predelline posteriori, avevano il privilegio di lavorare e di utilizare quel fantastico mezzo. Quanche volta mi scappò anche di dire che da grande avrei voluto fare lo spazzino, per poter godere la vicinanza di una tale meraviglia della tecnica. Ma tale scelta cozzava con la decisione di diventare ingegnere meccanico, quindi fu presto abbandonata.

Tra i dieci ed i tredici anni andavo solo in bicicletta. Non che fossi un appassionato di pedalate, ma perchè era la cosa più simile ad una motocicletta che potessi condurre.

Il gioco del calcio non mi ha mai attratto. Non ho mai tifato per una squadra di calcio. Quando i miei amici mi chiedevano “di che squadra sei ?” io rispondevo tranquillo “di nessuna, non mi piace il calcio, seguo solo le corse di auto e moto”.

Verso i dodici anni la passione più grande della mia vita si palesò in modo definitivo. Il motocross, regina delle discipline motoristiche con le sue ancelle, ossia le moto da cross.

Conoscevo tutti i modelli di moto da cross in commercio in tutto il mondo e di ciascun modello tutte le caratteristiche tecniche. Passavo pomeriggi interi a fantasticare favolose avventure in sella ad una moto da cross, guidata in modo magistrale da me, capace di ogni virtuosismo, ogni acrobazia.

Quando arrivò il giorno in cui divenni proprietario di un motorino 50 da cross, non avevo mai guidato nulla a motore. Ero stato solo in bicicletta. Neanche un Ciao avevo mai guidato.

Ma appena fuori del concessionario, feci benzina, misi in moto e partii. Era uno dei pochissimo modelli in commercio a 5 marce. Ricordo ancora il suono metallico, cristallino, del motore a due tempi, l’odore della miscela bruciata, l’emozione della prima accelerata, del primo giro in moto della mia vita. Tornai a casa dopo tre ore. Avevo le dita della mano sinistra (quella della frizione) in preda ai crampi, il polso della mano destra indolenzito a causa dei nuovi movimenti a cui l’avevo costretto (ruotare la manopola del gas). Puzzavo di miscela, le scarpe erano troppo leggere e si erano rovinate a furia di cambiate. Ma ero felice, finalmente potevo guidare una moto. In poco tempo divenni veramente il funambolo che avevo sognato di essere, guidavo con maestria e capacità, il cross non aveva segreti. Furono tempi felici, a stretto contatto con quello che amavo e non mi chiesi più cosa volevo diventare da grande, almeno fino alla maturità. Non evavo tempo di pensare, dovevo andare in moto.

I miei genitori volevano che studiassi legge, speravano in un posto in banca, che mio padre mi avrebbe lasciato una volta andato in pensione. Dopo la maturità, per qualche settimana mi convinsi ad iscrivermi alla facoltà di legge. Avevo preso anche i bollettini postali, tutto stava andando secondo la volontà dei miei genitori. Poi tornai ad avere il controllo di me stesso. Mi iscrissi alla facoltà di ingeneria. A mia madre prese un colpo. A mio padre pure. Dicevano che era troppo difficile, che avrei dovuto studiare troppo, che non ero proprio stato uno studente esemplare al liceo e che forse era meglio una strada più semplice.

Ma io ero rimasto al mio proposito di bambino, quel fatidico 1 ottobre 1962, quando dissi che da grande sarei diventato ingegnere.

E ingegnere lo divenni realmente. Il 15 luglio del 1983 fui proclamato ingegnere meccanico, dal professore Carmelo Caputo, un luminare, uno dei più grandi professori di macchine che l’Italia abbia avuto. I suoi libri troneggiano ancora nella mia libreria.

I giorni immediatamente successivi alla laurea furono ovviamente euforici. Finalmente avevo finito la fase studentesca, ora dovevo trovare un lavoro.

A differenza dei miei colleghi neo laureati, cercavo un lavoro da ingegnere meccanico, possibilmente nel campo dei motori a combustione interna. Non volevo occuparmi di informatica, di strutture metalliche, ponti o elettronica. Io volevo lavorare con i motori. I mesi di settembre, ottobre e novembre passarono veloci, tra colloqui vari ma senza nessuna possibiltà concreta di essere assunto.

A dicembre feci il colloquio in una piccola società, che si occupava della progettazione e produzione di banchi prova motori. Il colloquio ebbe esito positivo e iniziai a lavorare. Ero diventato progettista di banchi prova motori. Il primo giorno di lavoro andai al centro tecnico della motorizzazione militare, dieci sale prova, piene di motori di carri armati, camion e mezzi militari di tutti i tipi.

Stavo realizzando il mio sogno. Stavo per intraprendere la professione di ingegnere meccanico. Stavo sempre in mezzo ai motori, progettavo gli impianti e i banchi che servivano a provarli, quindi li vedevo funzionare, sfumicare, perdere olio, acqua, gasolio. Ero nel mio mondo. Le esperienze di lavoro si moltiplicarono, stavo sempre fuori di casa, in cantiere o presso clienti. Giravo l’Italia senza mai stancarmi.

La storia professionale andò avanti, la carriera in qualche modo si indirizzò sempre nello stesso ambito. Poi ad un certo punto il cambiamento epocale. Inizia a lavorare per una ditta di Cento (provincia di Ferrara), sempre produttrice di banchi prova motori, ma questa volta ben inserita nel mondo motociclistico.

Iniziai a frequentare i reparti corse di Aprilia, Derbi, Ducati, KTM e via via tutti i principali costruttori di moto del mondo. Ero sempre più convinto della mia scelta professionale, della mia scelta di vita. Essere ingegnere meccanico, lavorare come ingegnere meccanico. Completamente preso dal lavoro che stavo facendo, dedicai tutti i giorni, tutti i week end, molte ore della notte, al lavoro, allo studio, all’apprendimento di tutti i segreti del mestiere, della tecnica, del funzionamento dei motori. Studiavo e ristudiavo i testi tecnici più importanti, imparavo a memoria tutte le formule, i metodi di calcolo, le nozioni che mi potessero consentire di essere il migliore nel fare il mio lavoro. Sempre e comunque ingegnere meccanico. Nel frattempo mi sono sposato, ho avuto due figli, tante soddisfazioni dalla famiglia, ma nulla ha scalfito la mia fede primordiale.

Dal 1 ottobre 1962 ad oggi, 5 agosto 2018. 56 anni dopo, 35 anni di vita professionale, da crociato dell’ingegneria, templare della meccanica, cataro della tecnologia. 35 anni dedicati a fare calcoli, disegni, progetti, a costruire e vendere banchi prova, condividendo con clienti, colleghi e collaboratori la passione per i motori, l’amore per la tecnica.

Nulla mi ha mai fatto cambiare idea. Lavoratore stakanovista, oltre 12 ore al giorno, tutti i giorni. Viaggiatore instancabile. 50 viaggi in India, 30 viaggi in Cina, 5 viaggi in Giappone, tre viaggi in Vietnam, Brasile, USA, centinaia di trasferte in Francia, Germania, Spagna, Inghilterra, Turchia, Algeria, Egitto ed Iran. Sempre sempre pronto a fare le valigie, mai stanco, sempre entusiasta.

Ogni tanto mi chiedo se ho fatto la scelta giusta.

Non cerco una risposta e non sono capace di valutare se la mia vita sarebbe stata migliore se avessi fatto qualcosa di diverso.

Ho dato retta al mio cuore e quello che ho fatto lo ho sempre fatto con la stessa passione. Questo per me è sufficiente per non avere rimpianti. Quel bambino è diventato ingegnere. Un sogno si è avverato. Quindi se ne potrebbero avverare anche altri. Per questo continuo a sognare.

 

La ragazza della nave


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Titolo: La ragazza della nave

Autore: Arnaldur Indridason

Editore: Guanda

Bella copertina con una giovane donna di spalle con un paesaggio tipicamente nordico come sfondo.

Il libro “La ragazza della nave” si presenta molto bene ed attira l’attenzione per la grafica originale della copertina che utilizza una foto dai bordi sbiaditi, intrigante anche se un pò triste.

La storia di svolge in due diversi periodi, due storie parallele che si intrecciano, la narrazione si alterna in modo da accentuare la tensione concedendo al lettore piccoli indizi a mano a mano che la trama procede, senza grossi colpi di scena ma con un progressivo incedere che cattura il lettore a poco a poco.

Nel 1940 la Scandinavia si trova in piena guerra mondiale e l’Islanda, pur essendo un paese neutrale, si trova a dover richiamare i suoi cittadini che si trovano all’estero per riportarli in patria. Viene organizzato un trasporto navale per mezzo dell’imbarcazione Esja, con partenza dal porto di Petsamo (il nome del porto di partenza della nave è anche il titolo originale del libro), in Finlandia, per effettuare il rimpatrio.

C’è molta gente sul molo di Petsamo tra cui una giovane infermiera che aspetta il suo fidanzato per imbarcarsi con lui e fare ritorno il Islanda. L’attesa è vana in quanto il fidanzato non si presenterà e la nave salperà senza il giovane. La fidanzata farà di tutto per avere notizie dell’amato e durante il viaggio, in modo inaspettato, scoprirà che è stato arrestato dai nazisti mentre si stava recando da Copenaghen a Patsamo.

Il viaggio sulla nave Esja sarà teatro di alcuni eventi che segneranno il destino di alcune persone in modo irreparabile.

Nel 1943 l’Islanda è occupata dalle truppe americane e la vita nella città di Reykjavik diventa difficile a causa della turbolenta convivenza tra civili e soldati. Un uomo con indosso una divisa militare viene ucciso e ritrovato sul retro di un locale malfrequentato. Pochi giorni dopo il cadavere di un uomo annegato viene ripescato dal mare. Il responsabile delle indagini è l’investigatore Flovent che insieme al suo aiutante Thorson cerca di trovare i responsabili delle due morti.

Le indagini si svolgono con difficoltà e arriveranno presto a trovare alcuni punti di contatto tra gli omicidi e alcuni episodi e personaggi collegati con il viaggio della nave Esja, avvenuto tre anni prima.

Il libro ha come sfondo la vita misera ai tempi della guerra, uno dei periodi peggiori della vita Islandese dei tempi moderni. Viene raccontata la vita della capitale Reykjavik, con locali malfamati frequentati dai soldati e meta di incontri con donne locali che per far fronte alla povertà si vendono per guadagnare pochi soldi anche con la speranza, vana, di trovare un principe azzurro che le possa portare in America dove trovare una vita migliore. La storia racconda di omicidi, violenze, tradimenti. Tutto esasperato dalle condizioni di povertà e di degrado dei rapporti umani che la guerra può generare.

Come spesso accade le peggiori violenze sono frutto di vendette che scaturiscono dalla gelosia.