Intervista a Riccardo Landini
Riccardo Landini ha esordito nel 2009 con “E verrà la morte seconda”, poi ha scritto la quadrilogia “Il primo inganno”, “Non si ingannano i morti” , “Ingannando si impara” e “Senza trucco, senza inganno”.
I suoi ultimi tre libri, “Il giallo di via San Giorgio”, “Il giallo della villa abbandonata” e “Segreti che uccidono”, hanno come protagonista il restauratore di mobili Astore Rossi.
Ho avuto il piacere di intervistarlo, ecco le sue risposte.
- Sei uno scrittore a tempo pieno oppure svolgi anche altre attività lavorative?
Da circa due anni quella di scrittore è l’unica mia attività, l’unico mio pensiero costante, fisso. Scrivo tutti i giorni, dalle otto e mezza alle diciotto, sempre che, ovviamente, non mi capitino altri impegni. Il bello è che mi sembra di non aver mai fatto altro, dimenticando i miei trascorsi di diverso tipo. Cerco sempre di tenere un discreto ritmo di scrittura, anche se non mi impongo mai un numero minimo di pagine. Talora mi obbligo a scrivere anche poche righe quando non ho proprio voglia. Ad esempio in questo periodo dell’anno in cui il caldo non mi aiuta, dato che preferisco di gran lunga il freddo. D’estate quindi la fatica di scrivere è maggiore, ma in compenso giro parecchio per la promozione.
- Quando è nata la tua passione per il genere giallo/thriller?
Dovrei risponderti da sempre, considerando che uno dei primi libri che ho letto da bambino è stato un omnibus di Edgar Allan Poe, edito dalla Sansoni, Poe che, tra l’altro, è considerato l’artefice della nascita del genere giallo investigativo con il suo personaggio di Auguste Dupin. Quell’incontro con l’autore americano ha cambiato la mia vita, anche se a dir la verità leggo di tutto, saggistica compresa. Comunque con il tempo la passione, non solo letteraria, ma anche cinematografica, per quel genere è rimasta, alimentata dalla scrittura di racconti brevi per vari giornali cui ho collaborato. Quando poi si è presentata l’occasione di creare un romanzo… Bè, si può affermare che la strada era ormai segnata.
- Astore Rossi, il protagonista della tua ultima trilogia, è un restauratore di mobili, costretto suo malgrado a fare l’investigatore. È un personaggio completamente di fantasia o ti sei ispirato a qualche persona reale?
Ti dirò che, per quanto riguarda Astore, l’ispirazione mi è venuta parecchi anni fa, un giorno che stavo tornando in ufficio dopo un impegno con un cliente in un’altra parte della città. Ero a piedi e, per fare prima a rientrare, avevo deciso di attraversare un dedalo di stradine del centro storico. Mi sono ritrovato così in una di queste, davanti alla vetrina di un restauratore. La via era silenziosa, costellata di serrande chiuse e di vecchi manifesti strappati sui muri umidi degli edifici. E dietro il vetro si apriva la piccola bottega dove un anziano stava lavorando chino su di una cornice di legno dorato. Dopo averlo osservato per qualche istante, stupito che in quella zona ci fosse ancora un artigiano in attività, ho ripreso il cammino senza pensarci più. Però il giorno successivo, al mio risveglio, avevo in mente tutto “Il giallo di via San Giorgio” praticamente dalla prima all’ultima parola. Si vede che Astore aveva colto l’occasione per venirmi a trovare durante il sonno così da raccontarmi la sua storia personale. E io, ovviamente, ne ho approfittato per diventarne il biografo ufficiale.
- Astore nell’ultimo libro “Segreti che uccidono” si evolve come personaggio. Il finale lascia pensare a un seguito. Ci stai già lavorando?
I romanzi di Astore rappresentano la storia della sua vita o, meglio ancora, della sua rinascita dopo vent’anni di isolamento dal mondo. “Il giallo di via San Giorgio” segna l’inizio di un nuovo cammino per lui che si era rinchiuso in se stesso, diviso tra bottega e casa. Nel terzo in effetti le novità non mancano: ha imparato ad affrontare le situazioni difficili, a maneggiare la sua vita con meno remore e, soprattutto, si è reso conto che il mondo può essere interessante se ti ci tuffi dentro tenendo gli occhi aperti. Isabella, la bambina che si trova ad ospitare per qualche settimana gli apre definitivamente gli occhi con la sua ingenuità e lo aiuta a metabolizzare meglio il passato in attesa delle grosse novità (che non sveliamo) che lo attendono. Ho già pronto il nuovo episodio, che uscirà l’anno prossimo, nel quale Astore si ritroverà in grossi guai, alle prese con qualcuno che mai si sarebbe aspettato di incontrare nuovamente. Il titolo provvisorio è “So cos’hai fatto”.
- In futuro potrai cambiare genere o rimarrai fedele al giallo?
Ho scritto racconti di ogni genere, dalla fantascienza al sentimentale, dall’horror ai temi di vita quotidiana. Per quel che riguarda i romanzi tuttavia sono legato al genere giallo/noir anche se devo aggiungere che considero il genere come un mezzo per raccontare storie e personaggi, per esporre riflessioni e per interrogare me stesso e i lettori su temi come la solitudine, il senso dell’esistenza, l’alcolismo, la depressione. Ammantare di mistero e di tensione le storie aiuta a mantenere vivo l’interesse di chi legge e ad accompagnarlo attraverso le pagine in cui talvolta più che l’azione sono i pensieri dei protagonisti che contano.
- Quando scrivi un romanzo, pianifichi la trama in dettaglio oppure ti lasci guidare dalla fantasia?
Quando inizio un romanzo al novanta percento ho già in testa la trama dall’inizio alla fine. Mi piace pensare che siano gli stessi personaggi che arrivano da me per chiedermi di narrare le loro vite, il che mi semplifica di parecchio le cose. Gli unici appunti che prendo mentre scrivo riguardano i nomi e le caratteristiche dei protagonisti minori; in qualche caso, disegno uno schizzo, una mappa dei luoghi dove si svolge il plot per definire con più accuratezza l’azione.
- Scrivi tutti i giorni oppure solo quando sei ispirato?
In pratica ho già risposto a questo in precedenza. Posso aggiungere che con la mole di lavori già pronti a disposizione potrei smettere di scrivere per anni e sfruttare quel mio piccolo tesoro accumulatosi nella memoria del computer. Però l’esigenza di mettere su carta o meglio su display ciò che mi attraversa la mente e il cuore è senza alcun dubbio prevalente rispetto al pensiero (anche della mia agente letteraria) secondo cui è inutile continuare a buttar giù pagine su pagine prima di aver smaltito la quantità di arretrati pronti. Ma come per l’Ulisse di Dante, il desiderio di andare avanti, di esplorare di scoprire nuovi orizzonti è troppo forte per fermarsi qui. Spero davvero di riuscire a pubblicare tutto…
- Lavori ovunque oppure hai un posto speciale dove riesci a scrivere meglio.
Ho una mia postazione, in mezzo ai miei libri e ai miei vinili, dove mi ritiro per lavorare. Mi è capitato comunque di scrivere in qualunque luogo, mi basta avere a disposizione un block notes e una biro. Di solito ascolto musica mentre scrivo, classica o progressive inglese, ma non è indispensabile, tanto mi astraggo dal mondo che mi circonda. Una cosa che pochi sanno: adoro scrivere durante i temporali. Auspicando che non vada via la luce sul più bello…
- Scrivi direttamente sul computer oppure ti affidi per la prima stesura a carta e penna?
Scrivo al computer, non potrei fare altrimenti. Si risparmia un sacco di tempo, vista la comodità delle correzioni e delle aggiunte. Considera che prima di sottoporre all’editore un romanzo lo rileggo e rifinisco almeno una dozzina di volte, quindi non posso che ringraziare l’inventore del pc. Recentemente, nel corso di un trasloco, ho ritrovato un mio vecchio romanzo giovanile scritto a macchina e mi sono rammentato della fatica per correggerlo, dovendo ogni volta riscrivere la pagina da cambiare, se non addirittura il capitolo intero.
- Leggi sia e-book che libri di carta?
Confesso di non aver mai usato un lettore per e-book. Adoro il fruscio delle pagine, tenere il libro tra le mani, guardare la cover, respirare il profumo della carta… Anche se il mezzo elettronico può essere molto comodo (ricordo certe vacanze in cui mi portavo dietro una ventina di volumi da leggere, dedicando una valigia solo ad essi…), io sono rimasto ai vecchi tempi. La mia biblioteca conta su un numero imprecisato di libri di ogni tipo e lo trovo uno spettacolo che mi riempie di gioia ogni volta che lo osservo. D’altro canto devo ammettere di aver venduto tanti romanzi in e-book e dunque non posso che esser lieto che esista anche questo sistema di lettura alternativo.
- Che ne pensi del self-publishing?
Trovo che sia un altro modo di concepire la scrittura e che dipenda molto dagli obiettivi che ciascuno si è prefissato. Se vuoi provare a ottenere determinati risultati probabilmente non è la strada migliore. Ad esempio, uno degli elementi che ritengo essenziali per un buon lavoro è un editing professionale, servizio che per chi si autopubblica viene spesso a mancare, a meno che non si paghi qualcuno che lo faccia di mestiere. Ricevendo spesso libri di persone che mi chiedono un parere sulle loro opere (cosa che a me, confesso, non piace molto; talora occorrerebbe essere brutalmente sinceri e io faccio fatica a esserlo per rispetto dell’autore), mi accorgo invece che l’editing viene trascurato, se non ignorato del tutto, con esiti spiacevoli. In più c’è il discorso della distribuzione, della promozione, ecc. È ovvio che chi scrive un romanzo o un racconto oppure una silloge poetica sente l’esigenza di pubblicare, ha fretta di mostrare la propria opera al mondo. In questo senso il self publishing è l’ideale. Se tuttavia c’è una cosa che ho imparato con gli anni è che in questa professione (o passione o entrambe) la fretta è una cattiva consigliera. Meglio fare le cose con calma, magari attendendo la giusta occasione e un editore che sia quello giusto. Però questa ovviamente è la mia opinione personale dalla quale si può legittimamente dissentire.
Grazie, Roberto, per l’opportunità e grazie a tutti coloro che leggeranno queste mie parole e pure i miei romanzi.
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